Tra il 2 e il 6 settembre 1666 divampa a Londra quello che sarà ricordato come Il Grande Incendio, arrivando a distruggere cinque sesti della città di allora.

Le vittime furono relativamente poche, e all’incendio fece seguito una città ricostruita in maniera più consapevole e illuminata; secondo alcuni storici, addirittura, l’incendio distruggendo la città uccise i ratti e pose così fine a un’altra calamità, la Grande Peste di Londra.

L’incendio nasce da un fuoco rimasto incostudito dentro l’abitazione di un fornaio, per poi appiccarsi rapidamente agli edifici vicini: nel Seicento molti edifici erano in legno, ma trattato per poter resistere agli incendi; accanto al legno venivano però usati materiali come la paglia, le stoffe e altro, che favoriva l’estendersi dell’incendio.

Il principale strumento di contrasto all’incendio, come al tempo dei romani, consisteva nella distruzione di alcuni edifici per creare delle barriere tagliafuoco: cosa che però venne fatta tardivamente e male, guidata da un Sindaco, Sir Thomas Bloodsworth, che temeva le conseguenze economiche delle distruzioni (in particolare su alcuni personaggi in vista).

È ancora oggi una delle grandi metafore con cui guardare ai costi individuali e ai costi collettivi, all’urgenza e alla necessità di intervenire, per il bene di tutti.

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