Il 15 luglio 1799, durante dei lavori di ristrutturazione del forte egiziano di Rosetta, gli occupanti francesi si accorgono che una delle pietre usate per la fortificazione potrebbe avere una importanza particolare: è quella che passerà alla storia come la Stele di Rosetta.
Si tratta di un’iscrizione contenente un editto di epoca tolemaica, che ha la particolarità di essere scritta prima in geroglifici, quindi in demotico e alla fine in greco antico. La parte in greco viene rapidamente trascritta e quindi tradotta: la stele, presa dagli inglesi dopo la vittoria sui francesi, è a disposizione degli studiosi di tutta Europa, ed è oggetto di una grande collaborazione internazionale.
Malgrado gli episodi di cui parla il testo non siano fondamentali, infatti, quello che è subito evidente agli studiosi, è che i tre testi siano traduzioni dello stesso contenuto, malgrado nessuno sappia, nell’Ottocento, leggere i geroglifici. La presenza di nomi propri (come Tolomeo) spinge i ricercatori a cercare delle trascrizioni nei vari alfabeti: grazie a questo il ricercatore francese Jean-François Champollion arriverà a decodificare l’alfabeto della scrittura geroglifica, con grande e immediato scalpore.
Ancora oggi, in particolare in lingua inglese, si indica come “Stele di Rosetta” un campione che, se decrittato, diventa la chiave per la comprensione di qualcosa di più grande.
La stele, conservata al British Museum, foto di Matteo Vistocco su Unsplash