Marianna Balducci ci racconta come è andato il suo webinar sulla diversità e di come si può affrontare in classe.

Non molti giorni fa, in occasione di un webinar condotto assieme a Francesco Fagnani per il progetto “Più unici che rari” (Librì progetti educativi e Sanofi Italia) dedicato alle diversità e all’inclusione, davanti a una virtuale ma consistente platea di insegnanti, mi sono presentata con uno scheletro.

Contro ogni sensata accortezza per la prima impressione, ho pensato che non avrei certo potuto sfondare con lo schermo la porta di casa di così tante persone a mani vuote.

D’altra parte, non ho portato un cadeaux di poco conto: ho portato una larva convivialis (ne parlava in un bell’articolo Emanuela Pulvirenti sul suo didatticarte.it), una di quelle piccole sculture che nei tempi antichi venivano apparecchiate in mezzo alla tavola per ricordarci dell’esistenza delle nostre più oscure paure.

Ah già, ho portato anche il Babau (quello delle “Storie dipinte” di Dino Buzzati), nessuno mi aveva dato indicazioni se fossero proibiti o meno gli animali. 

Non fatevi un’idea sbagliata, io sono una fifona, ho tendenzialmente paura di tutto.

Forse proprio per questo, quando mi è stato chiesto di parlare di come la creatività potesse trasformarsi in uno strumento per conoscere e raccontare la diversità in classe, ho pensato di partire proprio dalla paura.

La paura è quella bestiaccia che si mette (e ci mette) sulla difensiva quando ci troviamo in una condizione sconosciuta e che, per qualche ragione (a volte ingiustificata), ci appare minacciosa.

A volte ci blocca, ci impedisce di comunicare, ci allontana dagli altri ma anche un po’ da noi stessi. 

Ma dentro ai confini ampi ed elastici dell’arte sospendiamo il giudizio e ci concediamo di essere sorpresi, emozionati, vulnerabili.

Quando ci cimentiamo in una pratica creativa (disegnare, fotografare, scrivere una storia), mettiamo sul piatto anche quelle pericolose tensioni che ci hanno fatto paura. A volte addirittura, sono loro a divenire la molla per generare qualcosa di nuovo.  

Durante questo appuntamento, abbiamo perciò apparecchiato le paure per dirci che possiamo individuare spazi in cui testare la nostra capacità di camminare insieme nell’ignoto e dargli un nuovo nome, se abbiamo molta immaginazione forse persino un nuovo destino.

Creare in classe la stessa zona franca che l’arte spesso rappresenta per l’artista, può aprire vie di comunicazione inaspettate.

Iniziamo con l’osservare assieme agli alunni un progetto creativo, smontarlo. Poi rimontiamolo insieme e proviamo a generarne uno “tutto nostro”.

Non è solo un mettere le mani in pasta (su certi materiali e certi temi), ma è soprattutto calarsi in una nuova modalità di pensare, di pensarci.

Proprio come gli oggetti del mio “La vita nascosta delle cose” (Sabir editore) possiamo permetterci di dire che ci siamo stancati di essere sempre gli stessi, di fare sempre le cose nello stesso modo.

Possiamo lasciare che sia l’immaginazione (a cui è concessa anche la più impossibile delle alternative) a darci il coraggio di innescare un cambiamento.

Ecco che, allora, da una storia siamo approdati in modo naturale a un esercizio ma con quell’esercizio possiamo aprire un’altra storia, la nostra.

(Ve l’ho raccontato nel webinar, e ve l’avevo scritto qui)

Dopo avervi apparecchiato scheletri e Babau, infatti, vi ritroverete faccia a faccia con molte storie che sono anche un po’ dei format: a volte è il modo in cui sono confezionate, a volte è la miccia che le ha generate… diversi sono i bandoli a cui possiamo risalire per riproporre quel tipo di percorso (con mezzi compatibili col nostro ambiente) e farne fare, almeno in parte, l’esperienza per sciogliere stavolta le nostre matasse.

Non tanto voli di fantasia nel senso astratto del termine, piuttosto molto “saper fare” pratico che si traduce in mappe geografiche ed emotive, leporelli autobiografici, modi per andare sulla luna, orsacchiotti malandati da intervistare.

Un consiglio: se state pensando di portare uno di questi esempi in classe, non perdete l’occasione di costruire l’attività testandola sulla vostra pelle.

Solo così andrete incontro alla spietata praticità dei tempi da gestire (quanto tempo mi serve per tagliare degli elementi da combinare piuttosto che portarli già tagliati?

Quanto quel tagliarli fa parte dell’esercizio ed è quindi un passaggio fondamentale da non fare al posto dei ragazzi?).

Solo così vi verranno in mente magari delle varianti. Prendiamo, a questo proposito, nuovamente in mano gli oggetti insofferenti dell’esempio precedente.

Se lavoriamo solo con oggetti composti da più parti (una moka divisibile in 3 pezzi, un cavo col suo alimentatore in coppia, una lampada composta da lampadina, cavo e struttura), possiamo spostare il ragionamento da un’altra parte.

Che succede se agli oggetti scomposti manca un componente? Sono rotti, non funzionano, ci dicono.

Ma se fotografiamo quei pezzi singolarmente e col disegno li poniamo al centro di una nuova scena, forse possiamo inventare per loro un nuovo ruolo.

Chi lo dice che le cose debbano per forza funzionare in un modo solo?

Se davanti alla realtà avete già una buona predisposizione a questo tipo di switch mentale, se volete conoscere qualche autore, libro, progetto artistico che vi accompagni e vi incoraggi a praticarne sempre di più, potete quindi seguirmi in questa densa chiacchierata.

Al termine, con un po’ di coordinate nuove per spingervi verso terre sempre più lontane, magari sarete in cerca di un’occasione in cui testare subito le idee che vi saranno venute in mente.

Allora vi torneranno utili le parole di Francesco Fagnani (che chiudono questo video e aprono verso il sito del progetto piuunicicherari.it) che introducono il concorso “Come stai? Dillo con l’arte” da portare in classe (in scadenza fra poche settimane).

Ci saranno diverse cornici tematiche all’interno delle quali collocare anche molti dei nostri discorsi e, sì, ora che lo scheletro lo avete anche digerito, sarete pronti anche per quella dedicata proprio alla paura!

Qui potete rivedere il webinar “Indizi e tracce per un’esplorazione foto-illustrata del mondo”