La riflessione di Valerio Camporesi sull’importanza, oggi, della scuola all’interno della società italiana.

Essendo la nostra una società dell’apparire, da giorni la scuola appare al primo posto sui media e nei dibattiti politici: ma lo è veramente? Lo è senz’altro in quanto a preoccupazione, visto che una falsa ripartenza pregiudicherebbe le sorti non solo del ministro ma forse dell’intero esecutivo: avendo avuto il governo mesi di lavoro a disposizione e non essendo i cittadini più in grado di far fronte a una scuola che non c’è, gli italiani non tollererebbero passi falsi. Pre-occupazione, dunque: ma occupazione? Quanto ci si è occupati veramente della scuola?

Non abbastanza, verrebbe da dire subito, a sentir parlare anche l’ex ministro Fioramonti, che ha più volte denunciato la carenza degli organici, in particolar modo di quello relativo agli insegnanti di sostegno, docenti la cui presenza è ancor più importante e necessaria in questo periodo emergenziale e che invece in molti casi non saranno disponibili alla ripresa della scuola. Non ci si poteva pensare prima, così come per il problema del trasporto degli studenti o per quello della carenza degli spazi? Faceva effetto, in questi primi giorni di ritorno a scuola, vedere i colleghi con i volti velati dalle mascherine, far fatica a sentire le voci “mascherate”. Faceva ancora più impressione sentir parlare di aule Covid, di misure da adottare in caso di sintomi, di un distanziamento che si cerca di attuare ma che, inevitabilmente e almeno in parte, non ci sarà.

È come se un linguaggio diverso, estraneo al mondo della scuola, fosse improvvisamente piombato all’interno delle nostre aule. E lo smarrimento di questi primi giorni è già non poca cosa: cosa sarà dopo, di fronte ai purtroppo prevedibili momenti di confusione, indecisione o – peggio ancora – panico che potrebbero scatenarsi durante il periodo delle inevitabili influenze stagionali? Saranno gli alunni e i docenti, il corpo della scuola tutto, in grado di reggere l’urto?

Il peso, effettivamente, sembrerebbe troppo, e per questo servirebbe – ma presto, molto presto – che le scuole venissero aiutate veramente, per esempio dotandole di personale medico adeguato (il vecchio medico scolastico, che soltanto ragioni di bilancio hanno a suo tempo eliminato). Ma di questo, almeno per ora, non c’è traccia. Eppure se ne avverte il bisogno fin da questi primi giorni, nei quali si intravede come, accanto al problema sanitario, ne possa emergere un altro, non necessariamente secondario: quello di un disagio psichico che la società già manifesta (valga per tutti l’indicatore dell’aumento spropositato del consumo di psicofarmaci). Ecco, di fronte a queste emergenze (purtroppo realistiche), la scuola non può essere lasciata sola e sarebbe bello se questa fosse l’occasione di un’inversione di rotta che mettesse l’istruzione al primo posto non nelle parole ma nei fatti.

Per ora, al di là della buona volontà dei singoli (ministri, sottosegretari, funzionari), si stenta a riconoscere il segno di un cambiamento vero. Prova ne sia la vicenda – davvero imbarazzante – delle elezioni fissate a ridosso della riapertura delle scuole, così da rendere zoppo e problematico il loro cammino fin dall’inizio in quello che si preannuncia come l’anno più tormentato della scuola italiana. Eppure sarebbe bastato poco, cosa costava anticipare l’appuntamento elettorale al 7? Ma sono le ragioni della politica, non la politica che si occupa della polis ma quella che si occupa degli interessi dei partiti e della loro sopravvivenza, a venire sempre prima; e la scuola, almeno per ora, a venire dopo.