Il PDP (Piano Didattico Personalizzato) dovrebbe essere lo strumento principale per gestire le difficoltà scolastiche dei ragazzi con segnalazione di DSA. Ma funziona davvero?

Il PDP dovrebbe essere lo strumento principale per gestire le difficoltà scolastiche dei ragazzi con segnalazione di DSA. Dovrebbe perché nella pratica a volte (spesso?) si riduce a mero documento burocratico fatto più per rispondere agli obblighi di legge che per la funzione per la quale è nato. Il PDP nelle intenzioni (buone)  di chi lo ha pensato dovrebbe permettere ai ragazzi con difficoltà un percorso scolastico più sereno, prevedendo al suo interno strumenti compensativi e dispensativi utili all’apprendimento del ragazzo stesso, e dovrebbe aiutare le famiglie consentendo una minor difficoltà nell’affrontare un percorso scolastico spesso costellato di una grande fatica e di molte delusioni.

è un vero e proprio accordo tra famiglia, scuola e ragazzo

È considerato un vero e proprio accordo tra famiglia, scuola e ragazzo, ma la scuola purtroppo spesso presenta questo strumento di “dialogo” chiedendo una firma immediata, previa velocissima lettura, con tempi strettissimi, e che a fronte di legittima richiesta di “copia” , ci si possa sentir rispondere che non è una richiesta fattibile, per una serie di motivazioni che non trovano riscontro in nessuna linea guida.

Oppure lo studente viene escluso, è invisibile. Eppure quando si parla di pre/adolescenti è fondamentale l’assunzione di responsabilità. La scuola è e deve essere un loro affare.

Mi è inoltre capitato di leggere PDP poco chiari nella forma, copiati dall’anno precedente, con codici interni consegnati senza alcuna tabella esplicativa, utili, come già detto, più a mettersi in regola con le disposizione della 170/10 che per un beneficio dello studente. Molto spesso (purtroppo) la firma della famiglia arriva lo stesso, perché non si hanno né le conoscenze né le competenze per confutare o dialogare con gli insegnanti, e anche perché la famiglia non vuole danneggiare il proprio figliolo, quindi, semplicemente, subisce. Firmando.

non esiste un DSA uguale a un altro

Non finisce qui. Solitamente il PDP viene redatto sulla base di una diagnosi funzionale, codificata a seconda della difficoltà specifica e quasi sempre le misure decise sono standardizzate per “codice diagnostico”. E qui nasce la seconda questione: da esperta posso dire che non ho mai incontrato un DSA uguale a un altro (e nemmeno una qualsiasi persona uguale a un’altra, nemmeno tra gemelli, a parte, in questo caso, l’eventuale ed evidente somiglianza somatica). Decidere una misura sulla base di un codice diagnostico elimina di fatto quella cosa che si chiama “differenza personale”. Le misure andrebbero valutate, tarate, provate sull’osservazione diretta di quella specifica persona, e, se funzionali, adottate nel PDP trasformandole in vere e proprie strategie didattiche. Questo passaggio tuttavia richiede tempo, capacità osservativa e flessibilità che la scuola di fatto non riesce a garantire. Ma richiederebbe anche la pazienza della famiglia, nel lasciar tentare, nel cercare lo strumento giusto, ovviamente senza penalizzare.

Le misure andrebbero valutate, tarate, provate sull’osservazione diretta di quella specifica persona

Alcune associazioni spingono affinchè si obblighi scuola a inserire esclusivamente gli strumenti compensativi e dispensativi previsti nella valutazione, togliendo di fatto la possibilità di dar spazio alla differenza individuale, che potrebbe invece essere l’unico modo per far funzionare davvero quel PDP. La conseguenza di queste procedure affrettate? Può succedere che un Piano didattico Personalizzato non funzioni. Un esempio banale: le “mappe concettuali” non funzionano con tutti, ma questo strumento è presente nella stragrande maggioranza dei PDP e nella quasi totalità delle “valutazioni neuropsicologiche”. Lo stesso discorso vale per la tecnologia. La mia esperienza dice invece che non esiste uno strumento unico e risolutivo nemmeno per codice diagnostico, esistono piuttosto una serie di azioni sensate che vanno valutate, tentate e inserite a fronte di una accertata utilità. Anche dispensare per codice diagnostico rientra tra le misure generiche, e a volte può rivelarsi controproducente.

Forse funzionerebbe, se ognuna delle parti in causa cominciasse a mettere al centro il bambino, lasciando spazio al dialogo, inserendo in quel dialogo anche il diretto interessato. Con i piccolini si può bypassare questo passaggio con l’osservazione in classe e a casa. Una buona osservazione è meglio di molte “ valutazioni neuropsicologiche” Forse funzionerebbe se si cominciasse a ragionare sulle misure specifiche, quelle che servono realmente a quel ragazzo , evitando di schiacciare verso il basso e di dispensare per codice diagnostico. Forse funzionerebbe se si lasciasse il compito alla scuola di osservare, tentare, testare e provare con l’intento di non penalizzare il ragazzo in questione nel caso i primi tentativi andassero a vuoto. Forse funzionerebbe se la famiglia provasse ad appoggiare la scuola con pazienza, lasciando anche un giusto spazio di responsabilità personale al ragazzo che è il soggetto principale per cui si redige un PDP. A volte esiste anche il poco impegno. E la famiglia c’è anche per vigilare.

Funzionerebbe certamente meglio se avessimo una scuola formata ad affrontare le difficoltà e le differenze individuali di ognuno, capace di appoggiare , di potenziare , dando il tempo che i bambini meritano, capace insomma di lavorare con tutti e non lasciando qualcuno in balia di se stesso (o di qualche PDP).

Michela Vandelli è esperta nei processi d’apprendimento iscritta all’albo dei professionisti formati da Erickson, Tutor, Aiuto compiti, esperta di strumenti informatici per ragazzi con difficoltà scolastiche