Inizia con questo articolo la serie di riflessioni di Sonia Coluccelli  sui principi di una “scuola intenzionale” : quali percorsi si possono affrontare per raccontare gli intrecci della storia dell’umanità, il viaggio delle conoscenze ma anche i diritti, la memoria, la comprensione del presente?

Inizia con questo articolo la serie di riflessioni di Sonia Coluccelli sui percorsi, sulle strategie, sulle possibilità per raccontare gli intrecci della storia dell’umanità, il viaggio delle conoscenze ma anche i diritti, la memoria, la comprensione del presente.  Sulle tracce di una “scuola intenzionale” possibile, realizzabile.

L’educazione è l’arma più potente che si può usare per cambiare il mondo

Nelson Mandela


L’educazione è l’arma più potente che si può usare per cambiare il mondo
, ammoniva come molti ricordano, Nelson Mandela. È così: a scuola si scrive la storia di una comunità, a scuola si esercitano i modelli che si vogliono mettere come orizzonte per il futuro, a scuola si selezionano i saperi e le loro interpretazioni (perché no, non esiste il sapere neutro, oggettivo, svincolato dal tempo e dalle idee degli uomini e delle donne). È a scuola che viene agita una narrazione che riguarda il plurale, le relazioni, la possibile collocazione individuale nella storia collettiva. Questo è uno degli assunti che qualunque politico anche scadente ben conosce e la storia di quello spazio di vita e di formazione è quella del campo di azione di interventi che, in una direzione o nell’altra, lavorano per dare forma alle menti e agli animi dei più giovani con un’intenzionalità che spesso purtroppo manca agli insegnanti che troppo di frequente si trovano ad agire da comprimari o peggio da burattini obbedienti al Mangiafuoco di turno.

Gli ultimi mesi sono stati un susseguirsi di interventi che hanno avuto le aule scolastiche come palcoscenico di azioni che hanno visto gli insegnanti o chiamati a sostenere logiche di esclusione e sovranismo (quel “prima gli italiani” ripetuto ossessivamente che è entrato sotto la pelle di molti) o a tacere sotto il velo di responsabilità decisionali altrui o ancora ad essere attaccati ed osteggiati per posizioni poco conformi a quelle della narrazione governativa (da Monfalcone a Trieste, da Lodi a Cenate Sotto e a Trento). Posizioni opposte a quella scuola che non retrocede sul suo compito di pensarsi come comunità senza precedenze, senza esclusioni, tutela dei diritti di tutti, come testimonia Saltamuri, il coordinamento Uguali Doveri, la Rete di cooperazione educativa e chi intorno a queste realtà si è stretto e riconosciuto per trovare risposte allo smarrimento di molti momenti degli ultimi mesi.

Ci sono passi molto chiari anche delle Indicazioni Nazionali che oggi andrebbero scritti a lettere grandi nelle aule, nei corridoi, sui cancelli d’ingresso delle nostre scuole. Una fra tutte: “…Perseguire la finalità sancita dalla nostra Costituzione di garantire e di promuovere la dignità e l’uguaglianza di tutti gli studenti “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” e impegnandosi a rimuovere gli ostacoli di qualsiasi natura che possano impedire “il pieno sviluppo della persona umana”.

ognuno impara meglio nella relazione con gli altri

L’obiettivo è (dovrebbe essere) quello di valorizzare l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni studente. La presenza di bambini e adolescenti con radici culturali diverse è un fenomeno ormai strutturale e non può più essere considerato episodico: deve trasformarsi in un’opportunità per tutti. Non basta riconoscere e conservare le diversità preesistenti, nella loro pura e semplice autonomia. Bisogna, invece, sostenere attivamente la loro interazione e la loro integrazione attraverso la conoscenza della nostra e delle altre culture, in un confronto che non eluda questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari, le differenze di genere. La promozione e lo sviluppo di ogni persona stimola in maniera vicendevole la promozione e lo sviluppo delle altre persone: ognuno impara meglio nella relazione con gli altri. Non basta convivere nella società, ma questa stessa società bisogna crearla continuamente insieme.

La nostra scuola, inoltre, deve formare cittadini italiani che siano nello stesso tempo cittadini dell’Europa e del mondo. I problemi più importanti che oggi toccano il nostro continente e l’umanità tutta intera non possono essere affrontati e risolti all’interno dei confini nazionali tradizionali, ma solo attraverso la comprensione di far parte di grandi tradizioni comuni, di un’unica comunità di destino europea così come di un’unica comunità di destino planetaria. Perché gli studenti acquisiscano una tale comprensione, è necessario che la scuola li aiuti a mettere in relazione le molteplici esperienze culturali emerse nei diversi spazi e nei diversi tempi della storia europea e della storia dell’umanità. La scuola è luogo in cui il presente è elaborato nell’intreccio tra passato e futuro, tra memoria e progetto” (cit. Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione-MIUR).

La scuola è luogo in cui il presente è elaborato nell’intreccio tra passato e futuro, tra memoria e progetto

Oggi noi abbiamo un testo come questo che ci permette di dire quale sia la cornice dentro cui si muove la scuola, un testo che può essere messo a rete di protezione degli attacchi, delle minacce, del fango gettato sul lavoro che viene fatto. Potremmo non averlo più, dobbiamo saperlo. Vediamo molto velocemente essere messi in discussione principi e norme che consideravamo acquisiti, assunti e modelli collettivi che vengono cancellati per legge, o, peggio, attraverso decreti. Oggi tutto può essere riscritto, anche perché il consenso per farlo non manca.

Scuola e volontariato sono i luoghi cruciali dove si gioca la costruzione dell’immaginario collettivo, quelli in cui le narrazioni diventano profezie del futuro, non a caso sono in questa fase oggetto di attenzioni che diventano ingerenze, pressioni, indirizzi non richiesti ed insieme penalizzazioni volte a tenere comunque basso il profilo di ciò che possono offrire in autonomia. La tassazione per le attività di volontariato e i tagli previsti per le fasce più deboli a scuola vanno lette in modo non casuale nel panorama in cui ci stiamo muovendo. Allora penso che non ci devono servire le Indicazioni Nazionali, che pure sono ricche di passaggi così preziosi, per scegliere che scuola vogliamo essere, che racconto vogliamo offrire a bambini e ragazzi. Non ci servono per decidere di dar conto della storia di scambi e contaminazioni culturali che stanno dietro ogni pagina dei libri su cui si impara. Perché non serve solo o almeno non serve sempre parlare esplicitamente di inclusione e di superamento del noi/voi/loro, forse la differenza può farla il non retrocedere mai dal racconto del nomadismo che è dell’uomo sin dalle origini, dei viaggi compiuti dai numeri e dalle parole, dai cibi e dalle musiche, dai teoremi di geometria e dagli abiti che indossiamo. Per ridere, ridere davvero, sopra all’idea di un’identità o di una tradizione o cultura che siano pure, generate sul patrio suolo, senza debiti o crediti nei confronti di alcuno. Tutto ciò che noi siamo, sappiamo, facciamo è possibile solo grazie al fatto che i confini siano stati infinite volte superati, che si sia vissuto insieme, studiato insieme, mangiato insieme, noi e loro.

Tutto ciò che noi siamo, sappiamo, facciamo è possibile solo grazie al fatto che i confini siano stati infinite volte superati, che si sia vissuto insieme, studiato insieme, mangiato insieme, noi e loro.

Io credo che questo sia il tema che va messo insieme alla militanza necessaria della scuola a fianco dei bambini e delle loro famiglie che a scuola devono sentirsi cittadini senza alcuna distinzione gli uni dagli altri; la scuola, come una mensa per indigenti o un ospedale, dovrebbe essere un luogo franco da sovranismi psichici o formali o almeno dovrebbe esserlo la mente di ciascun insegnante.

Come lo raccontiamo tutto questo ai bambini, quali percorsi per raccontare gli intrecci della storia dell’umanità, il viaggio delle conoscenze ma anche i diritti, la memoria, la comprensione del presente? Una scuola intenzionale è una scuola che non solo sceglie un modello per l’apprendimento, per gli ambienti di quel processo, per gli strumenti di lavoro, per le relazioni, per la comunicazione, ma è una scuola che si prende l’impegno solenne che una lettera così non debba mai più essere scritta, che mette l’educazione ad essere sempre parte della famiglia umana come suo compito essenziale: “Caro professore, sono un sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere: camere a gas costruite da ingegneri istruiti; bambini uccisi col veleno da medici ben formati; lattanti soppressi da infermiere provette; donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiori e di università. Diffido -quindi- dell’educazione. Aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti. La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani”. (Cit. lettera che un preside negli Stati Uniti inviava ai suoi insegnanti all’inizio di ogni anno scolastico, la fonte è Anniek Cojean, Les mémoires de la Shoah, in Le Monde del 29 aprile 1995.)

Di questo vorremmo scrivere nei prossimi articoli. Del Come raccontare, se sul Cosa siamo, spero, concordi.

ndr. alcuni passaggi di questo articolo sono tratti da “La scuola ai tempi del sovranismo” ComuneInfo.

Immagine di copertina: Chen Ying Hsiu