Sabina Minuto nei suoi incontri di formazione si occupa di didattica della lettura e della scrittura. Ecco i dubbi e i nodi con i quali si confronta più spesso

Da qualche tempo ho cominciato a proporre  momenti di scambio e confronto, incontri di formazione rivolti ai docenti. Vorrei condividere qui alcune riflessioni. Su cosa formo? Mi occupo di didattica della lettura e della scrittura. Seguo una metodologia particolare. Si chiama Writing and Reading Workshop. La applico da oramai 8 anni. Funziona. Posso dire che gli studenti scrivono e leggono più di prima. Posso dire che cerco di passare ai ragazzi competenze, non contenuti. Che lavoro tanto, ma sono tanto soddisfatta.

Leggere e scrivere sono a mio avviso due competenze fondamentali. Dobbiamo creare lettori e scrittori per la vita, non per la scuola. Qui nascono una serie di intoppi o nodi su cui a mio avviso ruota tutto il sistema. Vado a elencarli in ordine. Perché fare formazione per me non è solo condividere risposte, ma trovare domande a cui rispondere insieme.

l’alunno al centro

C’è spesso una frattura grande fra come uno vorrebbe insegnare e come uno crede di dover insegnare. Credo che molti colleghi vivano davvero una discrasia. Spesso certe pratiche didattiche sono percepite come impossibili o « non regolari ». Ma. Esistono le Indicazioni nazionali. Le abbiamo lette davvero? Lì dentro c’è un mondo che parte da una affermazione “l’alunno al centro”. Ecco. Se io mi muovo dentro queste linee guida non posso temere nulla. Faccio sicuramente il mio dovere.

le antologie sono strumenti non possono dettare legge

Molti colleghi percepiscono inoltre una grande frattura tra quello che avrebbero desiderio di leggere in classe ( ad esempio) e le antologie. Anzi in pratica sembra passare l’idea che le antologie sono quello che io devo fare. Ma caspita! Non è così! Sono strumenti non possono dettare legge. La legge è quella che mi prescrive il cammino. Non sono le case editrici. Io credo che per troppo tempo abbiamo tutti creduto che ci fosse una completa sovrapposizione tra libro adottato e il programma. Il programma, come ben sa chi ha letto i documenti ministeriali, da anni NON esiste più. Credo dovremmo comunque farcene una ragione. E iniziare a lavorare ponendoci solo una domanda vera, l’unica che abbia senso: funziona? Quello che faccio funziona? Serve a insegnare la lettura, le competenze della comprensione profonda ai miei studenti qui e ora? Io credo che siamo artigiani della cultura, insegnare è sperimentare tutti i giorni e comprende anche il sapersi assumere una certa dose di rischio. Il rischio del fallimento che è insito nello sperimentare.

Non credo importi il cosa, se lavoro per competenza importa più il come

Molti colleghi temono, ad esempio, che leggere ad alta voce sia una perdita di tempo. Io non li biasimo. So per esperienza lo stress che ti assale quando ti confronti sui contenuti con i colleghi, solo su quelli. Dove sei? Questa domanda perseguita i docenti ovunque. Io oramai non ci faccio caso. O meglio do a questa domanda il peso che ha: scarso. Non credo importi il cosa, se lavoro per competenza importa più il come. Non dove sono nel “programma”, ma come sto lavorando e in vista di che cosa. Se ritengo la lettura ad alta voce utile (per me indispensabile) la pratico perché lo posso fare. Il ministero me lo permette. Non c’è scritto da nessuna parte che è vietato, anzi se mai il contrario, è suggerita per tutti gli ordini di scuola.

I colleghi, in formazione, mi segnalano anche che hanno anche difficoltà a far capire ai genitori che si può lavorare in modo diverso. Non solo per dare voti. Io, ad esempio, non valuto il mio laboratorio di lettura. Valuto un percorso ma mai un prodotto. So che questo a molti genitori risulta poco digeribile. Sembra che tu non li faccia lavorare. Io confido molto però sui risultati. I miei alunni leggono. Si fanno comprare libri. Mi chiedono di leggere in classe. Non potrebbe già questo bastare? Non è già questa una risposta a certi genitori? Certo ci vuole un po’ di coraggio e anche di capa tosta. Ma io credo che rassicurati dalla normativa tutti possiamo provare a lavorare così.

Si può usare una didattica diversa che diventa incisiva sul percorso, e non certifica solo un prodotto

Ma quanto è più faticoso lavorare in modo laboratoriale? Tanto. Molto più faticoso. Faticosissimo. Se sono un docente, e non c’è niente di male, che non ama andare oltre o sperimentare devo evitare di intraprendere questa strada. Purtroppo una volta intrapresa non ti abbandonerà più. E ti troverai coinvolto in tante attività faticose e peró necessarie. Se quello che cerchi è crearti meno crucci non è il caso. Se invece vuoi anche procurarti soddisfazioni grandi, a volte grandissime, allora puoi provare una didattica diversa che ti consentirà ad esempio di essere finalmente incisivo sul percorso, non di certificare solo un prodotto.

Ci vuole anche coraggio

Un problema sempre rilevato: la solitudine. Essere soli a scuola è tremendo. Io lo so. Certi colleghi non osano cambiare didattica perché sanno che non saranno seguiti da altri. É vero. Ci vuole anche coraggio. Ma ancora e di nuovo posso io lavorare in un modo, se non ci credo? Posso legare il mio stare a scuola a pratiche che per me non hanno più senso? Mi domando mai perché io lavoro in un modo piuttosto che in un altro? Tutto questo ci deve dare coraggio. Per esperienza so che a volte sembri il collega strano, ma quando poi i risultati arrivano qualcuno, magari di insospettabile, ti viene a cercare e ti fa domande. E dunque tu trovi colleghi con cui condividere idee e continuare a farsi domande su domande.

La didattica per ora in Italia è legata alla scelta del docente ed è uno dei rari casi in cui forse la legislazione è più avanti di chi è tenuto ad applicarla

In ultimo: la didattica per ora in Italia è legata alla scelta del docente. Esiste la libertà di insegnamento. Il ministero lo permette. Anzi invita a mettere in atto metodologie che siano confortate dalla riuscita della azione didattica. Io non posso insegnare cosa voglio in assoluto, ma come voglio sì. Questo è di gran conforto per me. Il cosa non mi vincola mai (come già detto non esistono i programmi ma le indicazioni o linee guida) il come è affar mio. Io nella mia professionalità posso decidere come voglio lavorare. Tutto questo è per me meraviglioso. É uno dei rari casi in cui forse la legislazione in Italia è più avanti di chi è tenuto ad applicarla.

Conclusioni. C’è una grande necessità di novità nella scuola. Si nota in tutte le formazioni che faccio sia dal numero dei frequentanti che dalla qualità degli interventi. Si nota il desiderio di costruire percorsi di senso. Si notano anche però tante remore o tante paure in fondo non sempre motivate. Io avrei la mia personale ricetta: fare rete. Condividere esperienze fra docenti che hanno uno stesso orientamento è fondamentale. Non siamo pochi a chiederlo. Ho incontrato centinaia oramai di docenti che chiedono il confronto e la condivisione avulse dal giudizio. Almeno fra noi dovremmo essere più solidali. Non sempre giudicare e basta, ma riconoscere meriti a chi li ha e porsi domande per imparare reciprocamente.

Io credo nelle domande che cercano soluzioni insieme, non separano ma uniscono, non ti inchiodano ma ti spingono

Io credo infatti solo nel confronto. Faccio formazione con questo spirito. Amo le chiacchiere tra docenti. Come amo parlare di libri, di autori, di esperienze. Solo così, astenendosi da posizioni retoricamente predicatorie e arroganti, ma mettendosi a disposizione possiamo creare un network pedagogico nuovo. Io credo nelle domande, più che nelle risposte, nelle domande che cercano soluzioni insieme, non separano ma uniscono, non ti inchiodano ma ti spingono. Con il WRW tutto questo è diventato nel tempo possibile.