La Rete di Cooperazione Educativa nasce da una intuizione di Mario Lodi: mettere in comunicazione fra loro forze e risorse in ambito educativo, e far sì che possano reciprocamente arricchirsi.

Forse è davvero necessario – in questi tempi di gran rumore mediatico e scarsa attenzione – tornare a porre cura non solo alle parole, ma persino alle unità minime che le compongono. La bravissima Elle Kappa, disegnatrice satirica, qualche anno fa scrisse: “Non calpestate le aiuole, si fanno male tutte le vocali”. Se dovessimo riassumere in un concetto lo spirito di partenza che diede l’impulso, quasi dieci anni fa, per costituire un’associazione di donne e uomini che hanno a cuore l’educazione, su intuizione e mandato del maestro Mario Lodi, sarebbe proprio quello di esser partiti dal cercar di privilegiare la vocale e.

Intendevamo che l’utilizzo sia nelle teorie pedagogiche che nelle pratiche di una specie di prevalenza della o – o Montessori “o” Steiner”, per fare solo un rapidissimo esempio; o scuola nel bosco o attività d’aula strutturate, e così via, tenesse in sé il rischio di una logica di esclusione che, se portata al limite estremo, può diventare una logica di guerra. O noi o voi; o i normodotati o i disabili; o gli italiani o gli stranieri: gli esempi, che anche nella storia recente hanno avuto effetti devastanti, potrebbero essere moltissimi. Diverso è pensare e agire secondo una logica di e-e.

Essere “rete” significa cercar di mettere in relazione donne e uomini che in ambiti diversi – la scuola, la famiglia, lo sport, il teatro etc. – operano in azione educativa

Non per appiattire teorie e pratiche in una indistinta e banale identità, ma per valorizzare il molto di buono che c’è in radici che affondano anche nel passato remoto, per metterle in comunicazione fra loro e far sì che possano reciprocamente arricchirsi. Ecco quindi che i nomi assumono un significato non solo simbolico o evocativo. Essere “rete” significa cercar di mettere in relazione donne e uomini che in ambiti diversi – la scuola, la famiglia, lo sport, il teatro etc. – operano in azione educativa, cioè in quel rapporto in cui si ha influenza, che può esser reciproca, sull’altro. Porre l’accento sulla “cooperazione” vuol dire orientare il proprio agire tenendo come filo rosso l’idea che maggiori e più benefici risultati si ottengono mettendo in comune forze e risorse e non limitandone l’uso ai pochi a scapito dei molti. Parlare di “speranza” connotandola non come orizzonte immaginario e consolatorio, ma come ponte tra i grandi insegnamenti del passato e le possibilità che il futuro da costruire ci può riservare. Una speranza viva e attiva, che ha riscontro nei giorni e nelle opere, che conosciamo e incontriamo in ogni dove.

Porre l’accento sulla “cooperazione” vuol dire orientare il proprio agire tenendo come filo rosso l’idea che maggiori e più benefici risultati si ottengono mettendo in comune forze e risorse

La Rete di Cooperazione Educativa – C’è speranza se accade @ nasce da queste riflessioni e dal lascito ideale regalatoci da Mario Lodi, che ci disse: “Cercate chi agisce e lavora così in Italia e non solo”. Ci siamo messi in cammino e abbiamo incontrato centinaia di donne e uomini che hanno a cuore l’educazione, in particolare negli incontri nazionali che dal 2011 in poi si sono succeduti a Soave, Sestri Levante, Cadoneghe e Vigodarzere, Sant’Arcangelo di Romagna e San Mauro Pascoli, Bastia Umbra, Negrar, Bari. Così come, quest’anno e nel prossimo, nell’incontro a tappe che abbiamo intitolato “Miraggi Migranti. Accoglienza Educazione Condivisione”, che ha già toccato Roma e il Monastero del Bene Comune di Sezano vicino Verona e che passerà a Busto Arsizio, Asti, Padova, per concludersi nell’ottobre 2019.

L’educazione ha da essere lenta, profonda, gentile

Ci sono tracce, ancora poche, è un lavoro al quale ci si dedicherà anche nei prossimi mesi, e ci sono notizie sul sito e sulla pagina FB. Ma siti e social sono strumenti, non fini. Ci preme maggiormente quell’intreccio di contatti, relazioni, incontri diretti, piccole attenzioni quotidiane che troppo spesso sembrano travolte dall’enfasi produttiva e dell’accumulazione. L’educazione ha da essere lenta, profonda, gentile. E’ possibile imparare e ridere, faticare e provar piacere (“fatica” non è sinonimo di “sofferenza”), discutere e amare. Lo vediamo nella produzione di pensiero e nell’azione pratica delle moltissime donne e dei moltissimi uomini che incontriamo ogni anno. Che forse, a volte, pensano di esser soli contro il mondo, e si stancano e si spaventano. E invece possono scoprire, e il nostro compito è favorire la scoperta, che anche a pochi passi da loro c’è qualcun altro che sta intraprendendo cammini simili.

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Carlo Francesco Ridolfi – autore dell’articolo – è coordinatore nazionale della Rete dal 2011