“Dove ho esagerato? In cosa ho preteso troppo? L’ho messo in difficoltà?” Le domande che dovrebbero far nascere un “cosa devo fare per sentirmi meglio?”

Quando un bambino esprime un comportamento sofferente o fortemente reattivo, sia a casa che a scuola, pensiamo immediatamente che ci sia qualcosa che non va in lui.

Di conseguenza la prima domanda che ci facciamo è: “cosa possiamo fare per ricondurlo a un comportamento che incontri la nostra approvazione?”

Così succede che la scuola diventa un avamposto che deve segnalare il prima possibile qualsiasi deviazione dalla norma.

I genitori vengono convocati e messi a parte sulle perplessità che gli insegnanti hanno sul comportamento del loro bambino e che, a loro parere, va corretto per non pregiudicare uno sviluppo sano, sia sul piano cognitivo che su quello sociale.

Così la scuola si assume il compito di primo ambulatorio di salute socio cognitiva.

I genitori vengono invitati a consultare o lo psicologo della scuola o un loro professionista di fiducia e, in qualche caso, un neuropsichiatra infantile, che lo valuti e indichi la cura necessaria.

Questo nostro comportamento affonda le radici nella fiducia che noi abbiamo di essere sempre dalla parte del giusto e della norma e, soprattutto, di aver fatto tutto quanto era possibile per trattenere il nostro giovane compagno di avventura nei canoni di una crescita senza problemi.

Certo gioca un ruolo anche la scarsa disponibilità di tempo, ma questa non giustifica il fatto che una parte della triade (insegnanti, genitori e bambino) si chiami fuori dall’avere delle responsabilità e quindi delle possibilità di cambiare senza imporre diagnosi o terapia alle altre due parti.

Di fronte a un comportamento sofferente o fortemente oppositivo e ribelle del bambino sarebbe bello che chi educa (genitori o insegnanti) si chiedesse: “dove ho esagerato?” oppure “in cosa ho preteso troppo e sono andato contro il suo tempo di apprendimento?” oppure “vuoi vedere che, senza volerlo, lo ho messo in difficoltà?”.

Queste domande le fanno spesso gli insegnanti ai genitori. I genitori non possono farle agli insegnanti.

Ed è uno spreco, perché se queste domande potessero circolare serenamente ne farebbero nascere un’altra, fondamentale: “cosa devo cambiare e cosa posso fare di così tanto diverso da quello che faccio di solito per sentirmi meglio anch’io?”.