Tra il serio e il faceto il maestro Ivan Sciapeconi parte da Halloween,  entrata di prepotenza nelle nostre case, strade e scuole per arrivare a una riflessione ben più ampia…

Non ci posso pensare. Quanti giorni mancano? Pochi, pochissimi e presto sarà Halloween. Che se uno ci pensa, con il fatto che l’estate è ancora lì, un ricordo sbiadito appena, verrebbe da mettere la testa sotto il cuscino e aspettare che passi. E, infatti, una volta era così. Chi va verso il mezzo secolo di vita se lo ricorda bene: non si festeggiava mica, una volta*. Si diceva: “è la festa dei Santi” e uno pensava “vabbè, passerà”. Si stava a casa da scuola, è vero, ma non era certo come il venticinque aprile o il primo maggio. Era una cosa un po’ così, che uno si vergognava pure a dire “che figata sono a casa per la festa di Tutti i Santi”. E dei Defunti, perché lì vicino c’era pure quella, di festa.
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Poi sono arrivati gli insegnanti di inglese. Perché, diciamolo, è colpa loro. Finché nessuno ha detto ai bambini 6-11enni che gli anglofoni se la spassavano come matti, qui dai noi nessuno ci pensava a mascherarsi la notte del trentun ottobre. Non si usava. Sarebbe stato come vestirsi da foca per il dodici di agosto solo perché gli Inuit festeggiano la Grande Festa degli Zero Gradi. Ti avrebbero preso per matto.

halloweenE invece no, il Ministero ha obbligato i bambini a studiare le cose anglosassoni a partire dalla prima e gli insegnanti di inglese si son messi di fantasia per rendere la cosa un po’ divertente. “Cosa possiamo fare per spiegare la parola dolcetto?” Si saranno detti. Sapete come funziona, vero? C’è sempre quello fissato con la didattica attiva, il geniaccio che cerca l’idea coinvolgente. Quello o quella, certo. Anzi, è più probabile che sia stata quella, visti i numeri in campo tra maschi e femmine, ma questa è un’altra storia. E, allora, quella o quella ha detto: “Perché non organizziamo la festa di Halloween a scuola?”. La frittata è iniziata da lì, dalla prima festa di Halloween organizzata in una remota scuola del Piemonte o della Calabria popolata da una, uno, o anche più insegnanti geniacci e tanti altri animati da grande volontà. E da lì non s’è più fermata, la frittata.

quello che facciamo a scuola ha conseguenze imprevedibili, effetti che durano anni, generazioni

Ora, tutta questa storia può ben dimostrare che quello che facciamo a scuola ha conseguenze imprevedibili, effetti che durano anni, generazioni.  E polemiche, pure, perché da quella scelta avventata di una scuola piemontese o calabrese è nato di tutto. Anatemi religiosi, perché i Celti stavano lì lì sul baratro dell’inferno; accuse di arretratezza, perché i Celti sono il simbolo della prima società globale della Storia; sguardi persi nel vuoto, perché solo a nominare i Celti, ai più si presentava davanti agli occhi una pagina vuota del Sussidiario. Ora, io non lo so mica da che parte schierarmi. Tra favorevoli e contrari, voglio dire. Mi piace troppo il Carnevale per prendermela con chi si traveste e mi piace troppo il Carnevale per dar ragione a chi vuole travestirsi in una data diversa. Una cosa, però, mi sento di dire. La prossima volta che vi viene in mente di organizzare una cosuccia, che so, la Grande Festa degli Zero Gradi solo per sentirvi vicini al popolo Inuit, bene, la prossima volta… pensateci.

*Per conoscere alcune tradizioni italiane legate alla celebrazione di Ognissanti potete visitare questa pagina

L’immagine di copertina è tratta da “Mortina” di Barbara Cantini, Mondadori