La riflessione di Sonia Coluccelli sul punto 6 della lettera di Galli della Loggia che invita a guardare al modello giapponese, partendo dalle pulizie

Punto 6 dell’articolo di Ernesto Galli della Loggia: “Sull’esempio del Giappone, affidamento della pulizia interna e del decoro esterno degli edifici scolastici agli studenti della scuola stessa. I quali potrebbero provvedere un’ora prima dell’inizio delle lezioni alternandosi a gruppi ogni dieci giorni. Oltre al piccolo ma non proprio indifferente risparmio economico, sarebbe un mezzo utilissimo per instillare negli studenti stessi il sentimento di appartenenza alla propria scuola e per insegnare alle giovani generazioni il rispetto delle proprietà pubbliche e gli obblighi della convivenza civile (non s’imbrattano i muri!). In fondo, l’alternanza scuola-lavoro non sarebbe meglio iniziarla proprio nella scuola?

Sarebbe interessante, sempre, fare riferimento a modelli alternativi, che possono essere stimolo ed ispirazione per ripensare pratiche nostrane dalle fattezze inamovibili, ma essi andrebbero riferiti e compresi nella loro completezza

Può sembrare inoppugnabile questa proposta, espressione di sani principi educativi smarriti o di emulazione di efficienti modelli messi a sistema in paesi agli antipodi rispetto alle nostre latitudini. Guardo spesso anche io oltreconfine alla ricerca di pratiche didattiche coerenti con una visione condivisibile non solo di scuola ma anche di comunità e di futuro. Sarebbe interessante, sempre, fare riferimento a modelli alternativi, che possono essere stimolo ed ispirazione per ripensare pratiche nostrane dalle fattezze inamovibili, ma essi andrebbero riferiti e compresi nella loro completezza.

pulizieSpesso arriva a noi l’idea nostalgica di scuole ordinate, gerarchiche e disciplinate e spesso il modello giapponese viene riportato “a braccio” come virtuoso in questo senso. Vanno persino a scuola con la divisa, laggiù… E la citazione delle pulizie delle aule è ricorrente, emblematica di una rassicurante idea di alunni che, direbbe l’opinionista, apprendono in questo modo gli obblighi della convivenza civile. Mi sembra importante sottolineare che in questo punto del decalogo rivolto al Ministro si ignora del tutto un aspetto centrale nelle scuole giapponesi, il fatto che quelle aule vengono pulite non dai soli studenti ma da squadre di alunni e insegnanti. Alunni e insegnanti.

Maestri e maestre secondo Galli della Loggia scenderebbero o dovrebbero scendere dalla pedana e dalla posizione pulizieautorevole davanti alla quale gli alunni scattano in piedi o da quella di monadi non comunicanti con colleghi e genitori per mettersi a pulire l’aula alle sette del mattino o alle cinque del pomeriggio? Immagina egli dunque una scuola in cui il docente si arma di straccio e ramazza per pulire pavimenti e scaffalature? O del modello giapponese conosce o finge di conoscere solo il pezzo che conferma l’idea di autorità e gerarchia, di obblighi e divieti che vengono snocciolati come un rosario punto dopo punto? Sono certa che il senso della convivenza civile a cui mi sembra sensato non essere obbligati (c’è davvero in quell’articolo un lessico ossessivo dal punto di vista normativo, misura, direi, della povertà della visione pedagogica) ma invitati e attratti, passi solo attraverso il fare concreto.

La convivenza civile è tale solo se è condivisa, testimoniata, accreditata da chi, adulto, di responsabilità e doveri è primo attore e mai può esserne spettatore o, peggio, giudice o sanzionatore

Se dunque pensiamo che sia utile ed economico fare a meno del ruolo dei collaboratori che si incaricano di pulire gli ambienti scolastici e se dal Giappone vogliamo mutuare questa idea allora facciamolo seriamente, non per giocare alla caserma per principianti, con i graduati a controllare il buon lavoro delle nuove leve. Se nella disciplina come sistema crediamo (e non posso tacere più di una riserva su questo asserto scivoloso) non possiamo sottrarci dal prendere da lì l’intero modello, quello di una comunità disciplinata, meticolosa, ordinata, piccoli e grandi.

Detto questo sono assolutamente fiduciosa nel fatto che esista un’altra via: Maria Montessori includeva le attività di vita pratica, tra cui le pulizie e la cura del giardino scolastico, tra gli aspetti fondamentali del percorso formativo dei suoi alunni sin dalla primissima infanzia. Ma le sue erano, e sono, chiamate Case dei bambini, luoghi di libertà di scelta, di autonomia, di educazione senza l’uso di premi e punizioni. Luoghi dove la cattedra manca del tutto, altro che predellino. Allora sì che, sentendosi a casa, sentendosi visti, ascoltati e rispettati i bambini possono scegliere la responsabilità, la cura. Luoghi ordinati, le scuole montessoriane, ambienti predisposti perché i bambini possano fare la loro parte grazie al fatto che prima di loro gli adulti hanno fatto la propria, scegliendo arredi adatti ai più piccoli, allestendo un ambiente ordinato e con materiali e strumenti di lavoro di qualità.

puliziepulizieAllora mi piacerebbe che al Ministro venisse sì proposto, in accordo con le amministrazioni locali responsabili degli edifici scolastici, di dotare le classi delle scuole di scopa, paletta e spugnette che possano essere utilizzati per la pulizia da alunni (e insegnanti!) ma prima chiederei di garantire aule tinteggiate, senza muffa o intonaco a vista ( a proposito di muri…), edifici con aule dotate di finestre degne di questo nome, di una metratura che eviti il ben noto effetto pollaio, pavimenti con piastrelle che non diventino ad ogni passo inciampi pericolosi, armadi, banchi, sedie e scaffalature dignitose.
Sono sicura che in Giappone le aule siano più o meno così.

Tutti gli articoli pubblicati di Sonia Coluccelli sui dieci punti della lettera di Galli della Loggia:
1 – a partir dalla pedana per parlar di democrazia
2 –
tutti in piedi l’illusoria idea di obbligare al rispetto
3 –
autogestioni: pretesti per non studiare o momenti formativi?
4 –
fuori le famiglie dalla scuola? L’equivoco del genitore cliente
5 –
riunioni e consigli, tra burocrazia e confronti necessari
6-
Il mito delle scuole giapponesi, tra pulizie e responsabilità
7-
Una scuola senza smarthone, falso vituosismo
8-
Letture di ordinanza o diritti del lettore (e del docente)?
9-
E se non parlassimo di gita, ma di viaggio?
10-
Il nome della scuola: semplice lustro o scelta consapevole?