Quanto influisce la realtà urbana nell’educazione? Che ruolo possono avere la scuola e gli educatori all’interno del contesto urbano?

Vorrei suggerire agli insegnanti di essere (o di diventare) buoni osservatori delle realtà urbane nelle quali le scuole e i luoghi dell’educazione sono inseriti, nelle quali gli allievi e gli studenti vivono, si muovono, passano gran parte del loro tempo. Ciascuna persona adulta (educatore, insegnante, studente, cittadino) si rende conto dei cambiamenti avvenuti e in corso nelle realtà urbane che frequenta: quella in cui abita, quella nella quale è nata e vive da sempre oppure quella nella quale lavora, studia, si muove per i più diversi motivi.

Gli spazi disaggregati dell’esistenza, i ritmi di lavoro, le stesse strategie di vita tendono a rendere frammentari i rapporti fra le persone, che sono più libere ma anche più separate, più distanti. Il sociologo tedesco Zygmunt Bauman ha individuato alcune tipologie di persone che girano per le città postmoderne: ciascuna incarna un prototipo di libertà e di solitudine possibile. Ci sono i pellegrini sempre in cammino verso una meta da raggiungere; i bighelloni (flaneurs) che si muovono un po’ a caso, che fanno esperienze degli altri come “apparenze”; i vagabondi, che sono estranei ovunque vanno, che non vogliono ambientarsi; i turisti, sempre in movimento, che non sono mai del posto, si muovono attirati da vari fattori, alla ricerca di esperienze nuove e diverse.

urbana

È una classificazione che riguarda certo le metropoli, ma anche le città di dimensioni più piccole. Le realtà urbane sono cambiate tutte. Le periferie delle province, così come le vaste aree che circondano le grandi città sono cambiate e ancora cambieranno. In parallelo, sono cambiati i loro abitatori, gli stessi che abitano le scuole, i luoghi dell’educazione e del sostegno educativo e sociale.

Come molte altre persone, ho occasione ogni tanto di trovarmi in città che non sono la mia anche solo per un giorno o due, per tenere corsi di aggiornamento a gruppi di docenti o per delle lezioni. Potrei fare tanti esempi di città piccole, grandi, medio grandi dove son tornata a distanza di quattro o cinque anni e dove i cambiamenti legati alle immigrazioni recenti sono divenuti visibili nei paesaggi urbani. Città come Udine, Gorizia, Brescia, Treviso, Torino, Correggio, Iesi, Modena, Reggio Emilia, Martinsicuro, Fermo e molte altre sono degli esempi. Tante volte sono stata una straniera (forse pellegrina, seguendo la classificazione di Bauman) in quelle città più o meno ospitali: straniera come molti di coloro che vedevo intorno a me. Ho avuto la possibilità di osservare, fare confronti marcati in tempi ravvicinati. Non è difficile notare quanto e come la fisionomia, la vita urbana, di queste città, come di molte altre, sia cambiata negli ultimi anni. Camminare per le strade di città come queste è un’esperienza che fa riflettere, è un vissuto pedagogico in senso letterale.

Qualche volta si assiste direttamente per strada a episodi di violenza; talvolta questi episodi li raccontano i network televisivi e i social. Da un punto di vista pedagogico, gli episodi di violenza trasmettono un forte bisogno di riconoscimento da parte di chi appartiene ai gruppi minoritari o subalterni della società.

Da pedagogisti e da insegnanti lo sappiamo che questi episodi parlano di identità negate, di radici, di aspettative deluse, di voglia di rivincita. Spesso gli amministratori, i politici, i decisori sembrano non rendersi conto di tutto questo. Il rischio è che questi episodi possano crescere. Certo è che sarà ben difficile che cessino da sé, senza interventi educativi che creino degli argini, dei sostegni.