Una guida operativa e qualche consiglio agli insegnanti per affrontare i problemi legati ai bisogni speciali 

Un dirigente scolastico sensibile e attento verso i problemi dei minori stranieri adottati, crea all’interno della scuola sensibilità e attenzione che diventano presto coinvolgimento per tutti gli attori. La sua scuola non deve trasformarsi in un generatore di problemi e le competenze professionali a disposizione del suo team docente avranno bisogno di una formazione specifica e mirata. Questa tuttavia non sarà destinata ai soli docenti di sostegno, ma a tutti, in quanto il loro campo di lavoro è la classe. All’interno di questa, i docenti ragioneranno in prospettiva dell’evitamento del danno, dell’ostacolo e dello stigma, quindi opereranno al fine di neutralizzare il funzionamento problematico dell’alunno (BES).

Ripartiamo dal “rispetto dell’ecologia di vita e di relazione del bambino” e affermiamo che il minore adottato nel bel mezzo dell’ammaternamento in atto nel nuovo nido familiare, vive l’inserimento scolastico in un luogo nuovo destinato ad essere “suo”. Per i suoi genitori (neogenitori) può risultare complesso muoversi all’interno dell’organizzazione scolastica con la quale sono ora destinati a interfacciarsi, in particolare per loro può essere difficile relazionarsi al piano dell’offerta formativa (POF) che ogni istituzione emana grazie alla propria autonomia.

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Dovrà, pertanto, essere l’istituzione scolastica ad orientare adeguatamente i nuovi “inquilini”. La scuola libera e autonoma, bilanciata sui bisogni individuali dei singoli alunni e vantaggiosamente impegnata nel contesto socio-ambientale che la manifesta, dovrebbe apparire in questa direzione la più idonea ad affrontare e risolvere i problemi dei loro figli adottivi. La scuola è preparata a rispondere alla formazione di tutti gli alunni con contenuti irrinunciabili: lo sviluppo di tutte le potenzialità, l’accrescimento della capacità di comprendere, di costruire, di criticare, organizzerà l’interazione fra i linguaggi della mente – processi cognitivi –  e del corpo – emozioni –  l’insegnamento della matematica, lo studio della storia, della geografia, degli studi sociali, l’apprendimento e l’uso della lingua straniera, l’attività laboratoriale e l’uso delle nuove tecnologie dell’informazione. Qualsiasi programmazione individualizzata rispetterà il bagaglio di vita di ogni bambino ed il suo universo di diversità, due componenti da interpretare in vista del potenziamento della sua capacità personale nel rispetto dei tempi e dei ritmi di apprendimento.

Un problema c’è tuttavia e ancora. Gli insegnanti, nonostante siano padroni di tante complessità che la scuola ora impone, si scoprono ancora inesperti nel comprendere i bisogni degli alunni adottati e spesso incapaci di attivare le strategie necessarie per sostenere il loro successo scolastico. La causa di questo “impreparazione” risiede nella mancanza di strumenti normativi specifici o di prassi di comportamento che sostengano gli stessi nell’individuazione dei bisogni dei bambini adottati e delle strategie da attivare per favorire la loro inclusione scolastica e il loro funzionamento globale (salute bio-psico-sociale).

Per i docenti, quindi, ecco alcuni punti da non trascurare perché riconoscibili quali indicatori di problematicità. Nell’ottica dei bisogni educativi speciali quali coniugabili alla difficoltà evolutiva di un minore adottato, in ambito educativo e/o apprenditivo, e che si evidenziano nel funzionamento  problematico (danno, ostacolo, stigma) indipendentemente dalla eziologia e che necessita di educazione speciale individualizzata, si faccia attenzione ai seguenti comportamenti:

Comportamento incoerente e manifestamente vivace: due componenti comportamentali che segnalano la difficoltà del minore ad adattarsi a un nuovo eco-socio-sistema. La nuova forma ambientale, nello svolgere la funzione di contenimento, adotta misure ignote al minore, il quale può provenire da esperienze di istituzionalizzazione in cui le relazioni tra pari spesso erano caratterizzate dalla prevaricazione e dalla mancanza di un’efficace funzione educativa.

Comportamenti di eccessiva generosità e compiacenti. Le condizioni di trascuratezza e di abbandono hanno potuto costringere il minore adottato a “secretare” i propri bisogni compiacendo i desideri altrui e manifestando un atteggiamento per lo più remissivo. Ciò è indicativo di uno pseudo-adattamento all’ambiente, in cui il minore adottato tendenzialmente gratifica gli adulti di riferimento, perdendo di vista la propria realtà emotiva.

Difficoltà nell’istaurare relazioni con l’“altro” distinto da sé. Si tratta di minori che manifestano comportamenti sgradevoli, aggressivi con gli altri, con le cose e con sé stessi. Comportamenti, quindi, derivate da relazioni originarie inaffidabili o plurime e abbandoniche o, altresì, che hanno indotto all’auto-consolazione e al distacco dall’ambiente.

Ricorso ed uso fuori luogo delle bugie. Un bambino adottato usa dire bugie come strategia contro una minaccia e lo fa a  manifestare la sua sfiducia nell’altro e nell’ambiente reagendo con insicurezza e timore.  Il ricorso alla menzogna è frutto della paura e della mancanza di percezione di un porto sicuro. Scegliere la strategia di un mondo parallelo inventato, gli alleggerisce la convivenza con un mondo nuovo difficile.

Il ruolo-compito dell’insegnante

È bene che l’insegnante sia consapevole della multi-fattorialità riflessa nell’adozione e della complessità psicologica e relazionale del minore adottato. Per chi gestisce un gruppo classe in cui sono presenti uno o più minori adottati, l’obiettivo del suo lavoro rimane quello di aiutare e di affiancare anche loro, i portatori di una storia difficile e di un futuro tutto da disegnare e scrivere a più mani.

È buona prassi per l’insegnante rispettare la logica di rete composta da famiglia, strutture specialistiche, associazioni, servizi territoriali. Alla scuola, quindi, va il privilegio del ruolo cruciale nella costruzione dell’identità dell’adottato frutto del passaggio  fra un periodo pre ed un post adottivo. La scuola è anche il luogo in cui garantire interventi efficaci atti a contrastare segnali di disagio espressi direttamente o indirettamente da comportamenti particolari.

L’insegnante dovrà tenere a mente anche i genitori considerando quello dell’inserimento scolastico del loro figlio come il debutto sociale non solo del minore, ma di una coppia di genitori e della loro competenza genitoriale.

Il ruolo della classe dei pari

I compagni di classe sono per il minore adottato il riflesso della sua personalità in sviluppo. Con loro si misurerà sul piano della relazione e delle competenze e con loro vivrà l’impatto del nuovo, attingendo a tutte le sue risorse emozionali e all’energia cognitiva che possiede. Tenere nella dovuta considerazione questo snodo determinante significa consapevolmente decidere un carico rimodulato nella quantità di contenuti apprenditivi ovvero una trasmissione degli stessi attraverso modalità funzionali, efficaci nonché accattivanti attraverso le quali il minore potrà assorbire ed elaborare contenuti basilari nonché complessi.  L’esperienza ha dimostrato che l’iscrizione del minore adottato alla classe direttamente inferiore a quella prevista per la sua età anagrafica è per lo più preferibile, ma non certamente la si deve considerare in assoluto, e come prassi, la preferita. Questa scelta è bene che sia fatta in rapporto all’ecologia di vita e di relazione del minore e delle caratteristiche del gruppo classe in un gioco di equilibrio fra i relativi livelli di maturazione.

Costruzione di una rete informale di sostegno

Al fine di sollecitare sentimenti di accettazione, di auto aiuto e di tutoraggio fra pari, alcuni studiosi quali Walberg e Greenberg (1997) hanno dimostrato che l’ambiente interpersonale in classe ha un’influenza importante sugli atteggiamenti dell’alunno, sui suoi interessi, sull’impegno e sul rendimento scolastico, oltre che naturalmente sulla sua prosocialità. A detta loro è fondamentale far diventare la classe una vera comunità di relazioni, in cui il senso di appartenenza è visibile, in cui ci si stimi e si contribuisca con le proprie identità, personalità e diversità al benessere di tutti. Ciò vale non solo per i minori portatori di un disagio magari certificato e non solo per un minore adottato, ma per tutti.

C’è da dire anche che atteggiamenti di socialità reciproca quando non sono incentivati da figure adulte di riferimento diventano difficili da innescare ad opera degli stessi ragazzi. Se a tale conclusione si arriva ragionevolmente è stato dimostrato a favore di questa convinzione  che un investimento su strategie rivolte a incoraggiare comportamenti pro sociali previene l’insorgenza di problemi nell’ambito non solo delle relazioni, ma anche in quello cognitivo. Ed è quello che ci si augura nel caso di inclusione di alunni adottati.

Gli insegnanti ed i docenti possono utilizzare strategie diversificate a sostegno della pro socialità fra i loro alunni. Essi conosceranno bene le differenze individuali per valorizzarle pubblicamente in classe; attiveranno momenti di riflessione sull’amicizia nella sua qualità e nel suo valore sociale ed interpersonale; inventeranno nuovi modi di disporre i banchi fra i quali suddividere i singoli alunni, creeranno un ambiente accogliente in classe che non stoni con il contenuto delle attività pro sociali offerte; formeranno gruppi di sostegno fra gli alunni responsabilizzati del clima intersoggettivo a prevenzione di nuclei di disagio propri di fenomeni quali il bullismo e la competitività. Infine, docenti ed insegnanti stimoleranno l’interesse verso attività extracurriculari e la partecipazione attiva delle famiglie.

cooperativo

L’apprendimento cooperativo

Compiuto positivamente il lavoro al primo livello di prosocialità  si può proporre il vero lavoro dell’apprendimento cooperativo. Esso si mostra funzionale alla stimolazione di capacità cognitive di ordine superiore ed è interscambiabile con altre prassi di metodo di insegnamento. Gardner (1999) afferma che la costruzione della conoscenza avviene per via sociale.

In classe è il momento di veicolare nuovi comportamenti cooperativi e nuove regole di gruppo. Tutti avranno modo di dire la propria, di scrivere, di parlare, ci sarà un tempo per gli interventi di tutti e per la loro messa in discussione (conflitto sociocognitivo), si darà spazio alla creatività nella risoluzione dei problemi attraverso i talenti che ognuno crede di possedere o che gli sono riconosciuti come tali dal resto del gruppo classe. 

Il lavoro che il docente sottoporrà sarà sicuramente di una tipologia che richiede realmente un approccio collaborativo nell’affrontarlo. Ogni alunno dipenderà dall’altro e con lui dovrà interagire costruttivamente. Il docente e l’insegnante non saranno gli unici a dover essere ascoltati, bensì è l’insieme dei soggetti collaboranti che saranno vicendevolmente ascoltati: ognuno in modo interdipendente deve esprimere la propria opinione, soluzione o strategia e, da ciò, imparerà ad ascoltare gli altri per raggiungere un unico obiettivo: la soluzione del compito.

La cooperazione, in quanto strategia di apprendimento, oltre che educativa, è risultata, dagli studi fatti, propedeutica al raggiungimento di migliori risultati scolastici, di relazioni pro sociali e amicali profondamente migliori e significative fra i soggetti, di un livello positivo di benessere psicologico degli alunni nei quali spicca una rafforzata capacità di affrontare lo stress e l’insuccesso.

Gli ingredienti base della cooperazione in classe sono: l’interdipendenza positiva in cui gli insegnanti ed i docenti impartiscono compiti chiari e definiti obiettivi di gruppo (non esiste un successo personale ma un successo del gruppo). La duplice responsabilità degli alunni, personale e di gruppo. L’interazione costruttiva diretta che vede i gruppi sia come sostegno scolastico (ognuno impara/insegna da/a qualcun altro) sia come sostegno personale (ognuno è sostenuto da qualcuno anche emotivamente). L’apprendimento delle abilità sociali per cui all’interno del gruppo si apprendono sia i contenuti sia le regole del gruppo. Per ultimo la valutazione, l’alunno impara a valutare il proprio operato in funzione della valutazione del compito raggiunto, attraverso azioni altamente positive che emergeranno a scapito di quelle negative, le uniche che ostacolano il raggiungimento della soluzione ultima.