Ogni insegnante, al giorno d’oggi, è chiamato a confrontarsi quotidianamente con la presenza della tecnologia, dall’uso della LIM al (possibile) utilizzo degli smartphone in classe. Che fare, dunque? Prima di tutto – forse – cercare di capire

tecnologiaDominatrice della nostra società, della quale orienta le scelte e indirizza i modi di pensare e di agire, la tecnologia è da anni protagonista anche nel mondo della scuola, persino quando è assente: è di poche settimane fa la notizia di un liceo, il San Benedetto di Piacenza, che ha vietato l’utilizzo degli smartphone a scuola, ricorrendo – peraltro – ad uno strumento altamente tecnologico per rendere effettivo tale divieto (la speciale busta schermante Yondr, inventata di recente negli Stati Uniti). Ogni insegnante, al giorno d’oggi, è chiamato a confrontarsi quotidianamente con la presenza della tecnologia, dall’uso della LIM al (possibile) utilizzo degli smartphone in classe. Che fare, dunque? Prima di tutto – forse – cercare di capire.

A leggere gli interventi sul tema, davvero numerosi, si ha l’impressione di una oscillazione tra atteggiamenti celebrativi (i più diffusi, ci pare) e posizioni di chiusura. I primi sembrano figli dell’orientamento che assume la tecnica come riferimento indiscusso della nostra vita, come se essa – e non, invece, gli individui – potesse produrre chissà quali miglioramenti anche nell’ambito della scuola: se ci ha permesso di vivere di più, di produrre di più e di parlare sempre e con tutti perchè non dovrebbe funzionare anche nella didattica? Saranno gli smartphone e i tablet a far imparare di più e meglio.

I secondi sembrano correre il rischio di una chiusura aprioristica verso le novità dei nuovi mezzi di comunicazione, con la prospettiva di ritrovarsi a manifestare sospetti e chiusure verso i nuovi media che ricordano quelli diffusi negli anni Trenta e Quaranta contro i fumetti, visti dalla cultura ‘ufficiale’ come – più o meno – un parto del demonio (venivano anch’essi dall’America, come i nuovi media). Il punto debole di un simile atteggiamento ci pare proprio la barriera che frappone alla possibilità di capire il mondo di oggi, col rischio di creare una frattura generazionale che davvero sembra ricordare quella di epoche passate.

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Valiant Hearts

Tali atteggiamenti ondivaghi si registrano anche nell’ambito delle istituzioni: valga per tutti il caso della Francia, il cui governo ha recentemente vietato l’uso dei telefoni in classe; ma era stata la stessa Francia a valorizzare in ambito anche didattico il videogioco Valiant hearts allo scopo di celebrare il centenario della Grande guerra. In Italia si è passati da una apertura (un po’ troppo plateale, forse) della ex ministra Fedeli all’uso dei cellulari in classe ad una più mite e forse ragionevole posizione dell’attuale ministro Bussetti, che rimanda ogni decisione in merito ai singoli istituti.

Forse la ragione di tali atteggiamenti ondivaghi sta nella natura ambivalente del fenomeno, che racchiude in sé aspetti positivi ed altri negativi. Nella mia esperienza di insegnante ho potuto constatare l’efficacia di uno strumento come la LIM, attraverso la quale le spiegazioni (a volte un po’ troppo verbose: a noi insegnanti piace parlare!) possono essere integrate da supporti video in grado di dare maggiore concretezza visiva agli argomenti trattati: per puro caso l’anno scorso caso scoprii una serie sulla Commedia che riassumeva ogni canto attraverso filmati di due-tre minuti: efficacissimo! Per non parlare dello sconfinato repertorio filmato che permette di supportare le spiegazioni di Storia attraverso la rappresentazione e di personaggi e di scenari del passato.

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Call of Duty

Un dibattito si è aperto da anni anche sull’utilizzo dei videogiochi storici in sede didattica, come precedentemente accennato (sono già numerose le esperienze in questo campo, in vari paesi del mondo): secondo alcuni essi presentano aspetti altamente educativi, come il confronto con le fonti (seppur riprodotte in contesto virtuale) e l’immedesimazione con gli ambienti sociali dei grandi periodi ed eventi storici rappresentati in modo, va detto, assai realistico dai videogames storici che, è appena il caso di ricordarlo, muovono un mercato di mliardi di dollari. Da non fruitore di tali giochi rilevo che il rischio insito nel loro utilizzo sta forse nel contributo che essi possono dare all’indebolimento di quelle capacità immaginative che gli insegnanti tanto spesso riscontrano negli studenti: immaginare uno scenario storico è forse più difficile, ma occorre vigilare affinché tale facoltà non venga abrogata da una macchina, per quanto seducente.

Soprattutto, la scuola rimane l’unico luogo (o uno dei pochissimi) in cui i ragazzi di oggi siano chiamati a leggere a a produrre testi (con la penna!) e a sviluppare l’immaginazione e l’attenzione: se non a scuola, dove possono farlo? Non abbiamo dato una conclusione; ma, per l’appunto, non volevamo darla. Resta l’augurio che, in un mondo sempre più compulsivo fatto di occhi e di cuori costantemente collegati ad una macchina, il vecchio libro e la vecchia penna non vengano cancellati ma, semmai, affiancati in modo intelligente.

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