Imparare gli uni dagli altri: tanti modi per favorire un apprendimento collaborativo e migliorare la condivisione consapevole del proprio territorio
Le scuole negli ultimi anni hanno fatto fronte in modo attivo e convinto ai bisogni nuovi dei gruppi di allievi e studenti provenienti da altri Paesi, con altre lingue, altri valori, altri riferimenti religiosi. Eppure (è quasi un paradosso) se nelle scuole l’intercultura è diventata una prassi valida per molti insegnanti, col passare degli anni si osserva che in tanti casi è difficile il rapporto fra le popolazioni multietniche che abitano la città e le popolazioni native, nonostante che i figli dei diversi gruppi siano compagni di classe.
Nel corso degli anni le scuole di paesi piccoli e di città medie e grandi hanno saputo attrezzarsi: hanno avviato sperimentazioni pedagogiche e progettazioni didattiche. Nonostante ciò, il rapporto con i luoghi pubblici delle città appare oggi non sempre positivo, non sempre propenso al cambiamento, all’innovazione e al dialogo.
Sono tante le città che, per quanto non di grandi dimensioni, appaiono in alcuni quartieri come in uno stato di immobilità. E ciò non aiuta a far crescere una mentalità interculturale nelle persone adulte, nei ragazzi, nei giovani. La costruzione delle identità oggi non è più legata alla città come lo è stato in passato, quando la città e i suoi luoghi rappresentavano il legame principale per la costruzione dei vissuti e per la costruzione delle nuove identità. Oggi tanti insegnanti riconoscono che, in particolare per i bambini e i giovani, la costruzione dell’identità è influenzata dalle conseguenze della globalizzazione, dalla mobilità, dalla circolazione di immagini, informazioni e messaggi che consentono a giovani e adulti di essere in qualunque momento del giorno e della notte a contatto diretto con luoghi diversi.
È una realtà che fino a pochi anni fa era impensabile, che coinvolge la riflessione pedagogica, il modo di fare educazione, le strutture sociali che collegano scuole, famiglie e territorio. Si creano legami affettivi multipli tra soggetti e luoghi coi quali i soggetti stessi vengono a contatto sia realmente (nella scansione del tempo e dei giorni) sia virtualmente. Il problema è che la condizione di multiappartenenza equivale alla fin fine a una condizione di nessuna appartenenza. E questo è un dato senza dubbio negativo, in primo luogo per chi ha il compito d’insegnare nelle scuole (docenti e educatori) e in seconda battuta per la vita sociale di tutti.
Gli insegnanti osservano con occhio critico la realtà che tiene insieme scuola ed extrascuola; paesaggio umano e luoghi interculturali. Alcuni adulti (madri e padri degli allievi) hanno già costruito nel loro paese d’origine, nella prima parte della vita, un’identità legata all’ambiente nel quale hanno vissuto per molti anni, a quelle identità appaiono legati e non manifestano il bisogno di interagire con mentalità e modi diversi, vogliono mantenere lo stesso tenore di vita, le stesse credenze che avevano nel loro Paese. Altri adulti mettono in discussione un’identità molto legata a principi e modalità che appartengono a una fase diversa della loro vita, cercano (e spesso trovano) motivi di negoziazione di simboli e significati tra i luoghi di partenza e i luoghi d’arrivo.
Altri adulti potrebbero essere interessati a mettere in discussione atteggiamenti, comportamenti, modalità di relazione ma non trovano i giusti canali per farlo e, nella pratica, non manifestano interesse a negoziare nulla.
Queste scelte di comportamento ricadono sui figli. E bisogna riconoscere che spesso da parte delle strutture delle città e di chi le amministra c’è una visione che rimane lontana, non interessata a creare collegamenti e contatti. La conseguenza che spesso si osserva è l’immobilismo, il disinteresse, l’indifferenza da entrambe le parti
Per far fronte a situazioni di indifferenza e ostilità fra comunità native e comunità immigrate (che fanno preludere a probabili difficoltà di convivenza a scuola e al di fuori di essa), alcuni comuni avviano con le scuole piccole attività di ricerca-formazione e aggiornamento che interessano in primo luogo insegnanti e allievi sul piano didattico e formativo ma anche gli adulti/genitori che vogliono prender parte alle attività previste.
Sul piano didattico questi progetti possono aiutare a favorire l’apprendimento cooperativo (cooperative learning), che applica alcune tecniche di cooperazione all’apprendimento in classe. Per migliorare i rapporti fra allievi di gruppi diversi e di conseguenza fra i loro genitori talvolta può bastare anche affiancare agli insegnanti uno o due esperti esterni per un certo numero di ore che li aiutino ad apportare modifiche all’attività didattica tradizionale.
Un’altra possibilità consiste nel far lavorare in gruppo gli allievi delle classi quarte e quinte imparando gli uni dagli altri e facilitando l’acquisizione di abilità sociali sulla tematica del diritto all’educazione per tutti.
In altri casi è importante lavorare sulla metodologia laboratoriale per trasmettere contenuti disciplinari e comportamenti sociali di collaborazione e cooperazione. In questo modo i ragazzi si rendono conto che l’apprendimento è un processo individuale, ma è importante che il processo sia condiviso e vissuto in modo sociale.
La “didattica laboratoriale” si concretizza in alcune modalità: si parte da un argomento (una tematica o una situazione problematica) e si cerca di definirlo, si cerca di individuare alcuni elementi che consentano di analizzare quell’argomento e di utilizzare varie strategie di socializzazione. Il docente, con gli allievi, propone e sceglie alcuni strumenti, contenuti, metodologie che vanno nella direzione della costruzione consapevole delle conoscenze su quell’argomento; i docenti proporranno infine un debriefing per la metacognizione e per l’autovalutazione .
In altri casi risulta utile che gli enti locali collaborino nell’avviare incontri programmatici fra gli insegnanti e gli adulti di riferimento degli allievi (genitori, fratelli maggiori, parenti…) favorendo brevi uscite sul territorio con l’obiettivo di ricostruire (insieme a un esperto che guida l’attività) una connotazione simbolica a un quartiere o a una parte della città. Gli insegnanti, a scuola, si accorgono che i nuovi cittadini non conoscono il patrimonio simbolico che descrive le zone della città. Spesso i nuovi cittadini non ne comprendono il valore, l’immagine, la storia; ne deriva da entrambe le parti (i nativi e coloro che sono arrivati da altrove e ora vivono qui) una percezione della città che risulta sfilacciata, intollerante, parziale.
Gli incontri e le attività di formazione dovrebbero aiutare gli adulti di riferimento degli allievi a condividere in modo attivo gli spazi urbani di vita, interpretandoli e, se possibile, rifiutando il cliché negativo attribuito a certe zone, a strade o a piazze nel corso degli anni. Lo spazio urbano è in continuo divenire, si rinnova costantemente, in un processo che crea movimento e dinamismo e che agisce sulle persone anche attraverso pratiche semplici come passeggiare, osservare, descrivere.