“Pan per focaccia” e altri modelli educativi. Una lettera di una mamma diretta a Renato Palma diventa un occasione per riflettere sul difficile rapporto tra genitori e figli basato sull’affettività e sui modelli educativi.

Caro Renato,
oggi il diario di bordo non lo avrei proprio voluto scrivere. Animata da ottime intenzioni, ho portato P., che ha sei anni, a fare una gita all’isola d’Elba. Ma ci siamo scontrati a più riprese: voleva giocare ai videogiochi della nave e non gli interessava per niente vedere il mare e neppure l’isola che si avvicinava. Trascorsi trenta minuti ai cabinati, gli ho chiesto di fare un po’ per uno e di portarmi a vedere il mare. Grandi polemiche. Forse avrei dovuto essere più generosa, però non ce l’ho proprio fatta. La giornata è proseguita con le sue continue richieste di gelato, ma il dottore me lo aveva tassativamente proibito per via della pancia. Ho cercato di spiegarglielo in ogni modo, ma ogni volta che cercavo di raccontargli una storia o di dargli spiegazioni, mi fermava. Al mio insistere nel rifiuto, mi ha colpita a più riprese dicendomi che ero cattiva. Alla quinta o giù di lì, gli ho reso uno schiaffo, urlando per giunta. Lui si è disperato, io ho chiesto scusa per aver perso la pazienza e ci siamo riappacificati. Però sinceramente sono rimasta molto delusa dal suo comportamento: per un giorno senza gelato, poteva farla molto meno lunga.


Cara M.,
ai bambini piace solo giocare. Lei sa che questa affermazione non nasconde alcuna critica nei confronti dei nostri piccoli, curiosi e affettuosi compagni di viaggio. Ogni tanto amiamo proporre loro giochi che piacciono solo a noi e che riteniamo che debbano piacere anche a loro. Questo lo facciamo perché il nostro mondo si è molto divaricato dal loro, e va benissimo così. Sta di fatto che noi dobbiamo avere i nostri giochi e loro i loro. Quasi sempre noi giochiamo ai loro giochi, senza discuterne l’interesse, e questo fa sì che loro, lentamente, ma molto dolcemente, imparino a giocare ai nostri. Contrattare per far fare loro le scelte che sono solo nostre, e quindi criticarli. O restare delusi, quando non le fanno, rappresenta il primo passo per un conflitto che poggia solidamente sulle premesse: ma come puoi divertirti a giocare con i videogiochi quando di fronte a te hai uno spettacolo che a me dà una grande emozione?
Da qui discende che io sono meglio di te. Anche pensare “facciamo un po’ per uno”, dopo aver criticato le scelte e aver tentato di forzarti a cambiarle, è un’idea che di solito non funziona. Vede, siamo di fronte alla scelta tra relazione e educazione. La maggior parte degli adulti, e quindi degli educatori, concedono la primogenitura alla relazione, ma poi, alla fine, se le cose non vanno come vogliono loro, sono prontissimi (quindi erano ben preparati) a far calare la clava dell’educazione.

È meglio che tu faccia come dico io, perché io so cosa è bene per te. Quando una discussione inizia, e si basa sull’assunto che noi abbiamo diritto ad avere preferenze sulle loro preferenze, è abbastanza facile che finisca con il ricorso alla forza, da entrambe le parti.

Per giunta, poco a poco anche i bambini si ritengono in diritto di avere le loro preferenze sulle nostre preferenze. La strategia del “pan per focaccia” è molto ben teorizzata a tutti i livelli: sarò gentile se tu sei gentile, aggressivo se tu sei aggressivo. 

C’è qualcuno, anche tra gli educatori professionali, che pensa che sia da “pan per focaccia” qualsiasi comportamento dei bambini che intralci l’organizzazione quotidiana. Attribuisce a loro una volontà di opporsi e creare problemi che probabilmente non hanno. Più facile interpretare come aggressivi alcuni comportamenti “sconsiderati”. Ad esempio i morsi che danno al capezzolo della mamma che li allatta o alle spalle dei padri che li portano in collo a torso nudo.

Non voglio dilungarmi troppo, anche perché non vorrei che lei pensasse di aver sbagliato. I suoi sforzi, spesso solitari, sono veramente grandi e quindi altrettanto grande può essere la delusione per gli insuccessi. L’affettività è una forma di intelligenza che richiede un gran lavoro, una grande manutenzione, una cultura solida e condivisa.

Ci stiamo muovendo in quella direzione, prima di tutto con noi stessi, evitando di insistere quando la fatica comincia a far capolino. Ma le ripeto, avremmo bisogno di molti aiuti.

Un ultimo punto. Se stiamo già litigando, e non è questo che vorremmo fare, non possiamo discutere anche sul gelato. Un mal di pancia (eventuale e che passa) dovrebbe essere considerato meno grave di un litigio (certo e che lascia tracce).

Credits fotografia: Julie Blackmon6