Dopo le sfide in famiglia siamo arrivati all’asilo, e le cose non migliorano! Continua il racconto di Renato Palma sulla crescita visto dai bambini

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L’asilo, un posto dove tantissimi piccoli cuccioli fanno a gara per ottenere l’attenzione. Un numero sproporzionato di richieste per due, quattro o al massimo sei braccia. Che sanno il fatto loro. Che non si lasciano intenerire o intimidire. Non solo.

Fanno anche la spia.

E si lamentano delle incapacità del mio babbo e della mia mamma. A essere un po’ più grande non ci metterei un secondo a difenderli. Insomma, quelle braccia sconosciute cominciano a dare consigli alla mia mamma. Per esempio si lamentano del fatto che lei ancora mi allatta e attribuiscono a questo tutta una serie di problemi che io creo a loro: sono, insomma, un bambino troppo richiedente.

Di un altro compagno dicono che ha comportamenti fortemente oppositivi che vanno affrontati se non si vuole che creino terribili problemi di relazione. E così la mamma torna a casa e non è affatto contenta di essere stata sgridata. Il babbo dice che lui dice le stesse cose da un pezzo: addio tranquillità.

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Mi sa che mi prendo una pausa. E invece mi ammalo. Se ti ammali non puoi andare al nido e la mamma, o il babbo, non possono andare al lavoro. Certo non sono contenti. Ti portano dal pediatra che cerca di tranquillizzarli e ti dà qualcosa di molto cattivo che dovrebbe farti guarire. Nel minor tempo possibile.

Che ossessione questa del tempo.

Com’è, come non è, alla fine ho fatto carriera. Mi sposto da solo per casa, parlo e mi faccio quasi sempre capire. All’apice della carriera al nido sono stato promosso sul campo e devo iscrivermi alla materna. Ma come? Proprio ora che mi ero ambientato e mi sentivo a mio agio. Questa della nostra carriera è una vera fregatura. Arrivi al massimo di livello e di considerazione in una fase e passi alla fase successiva dove di nuovo ti trattano da piccino. E devi ricominciare tutta da capo. Speriamo che non sia sempre così.

Comunque, con alterne vicende e molte discussioni, in un tempo che mi è parso lunghissimo, sono riuscito a liberarmi del pannolone (condizione indispensabile per considerarti grande ed essere di nuovo il più piccolo). Controllo gli sfinteri (quasi sempre) e comincio a divertirmi.

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Appena hai imparato a muoverti con una sufficiente facilità… ti dicono che devi stare fermo. Le maestre si danno un gran daffare a interessarti in modo che tu stia tranquillo, che sia collaborativo, che tutto fili liscio. Qualunque intemperanza verrà segnalata come un problema tuo e come una insufficienza dei tuoi genitori.

Poveri noi, presi nel mezzo tra le difficoltà che incontriamo a stare in uno spazio inadeguato alla nostra curiosità, e le pretese di ordine e disciplina che hanno le nostre maestre. Tenerissime e ben disposte, ma spesso travolte da forze superiori. Difficile non affezionarsi a loro. E appena succede molte spariscono.

Nel frattempo cresci e ti chiedi se tutta questa fatica, questa fretta e queste pretese hanno un obiettivo buono che ogni tanto ti sfugge. Non stai abbastanza fermo e non sei ordinato e spesso sei distratto. Insomma sei entrato in un giro dove qualunque cosa tu faccia sarai valutato. Chissà se si rendono conto che quando ti disapprovano tu ti senti poco amabile e poco amato. Eppure la maggior parte di noi ce la mette tutta, ma proprio tutta per fare quello che ci chiedono. Anche solo per essere lasciati in pace. Ogni tanto.

Alla fine sono arrivato all’ultimo anno della materna e ho deciso che non voglio più andare a scuola. L’ho comunicato ai miei genitori. Come? Mi sono messo a piangere, ho smesso di mangiare, ho fatto le più incredibili bizze. Niente. A nessuno è venuto in mente che potessi avere dei buoni motivi. Eppure sono sempre stato un bravo bambino.

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Si è scatenata un’altra guerra. Da una parte i nonni tentano di comprare la mia protesta offrendomi una quantità incredibile di regali pur che io torni a scuola. Cerco di tenere duro. La mamma si arrabbia. Dice che le rovino la vita. Il babbo si innervosisce e non capisce. Tutti sostengono che non c’è niente di così grave che potrebbe giustificare il mio rifiuto. Le maestre poi dicono che una volta a scuola sono un angelo.

Vorrei che i miei genitori capissero che le maestre non considerano minimamente che il loro tentativo di educarmi mi ha veramente stressato. Vogliono che prenda una tisana che non sopporto, oppure che finisca di mangiare tutto, oppure che non parli durante il tempo della mensa, o che sia più veloce a finire i compiti che mi danno, o che stia sempre attento.

Lo so. Finirò per tornare a scuola. Ma non mi fa piacere quello che sta succedendo intorno a me. D’accordo, anche questa battaglia vedrà una mia resa, e poi loro dicono che sono io a volerle tutte vinte. Ma quando lo capiranno che stare in relazione è un gioco e lo apprendiamo nello stesso modo in cui loro apprendono un nuovo gioco? Intanto sta per finire anche la scuola materna. Speriamo che le elementari siano un’altra cosa e che crescere sia progressivamente più facile.

Oddio, ho appena sentito dire che le elementari sono molto difficili e ci si diverte molto meno.

Chissà le medie!